L’importanza delle regole

Se c’è un termine che ha una scarsa condivisione di significato è proprio quello  di regole. Si tratta di una parola utilizzata con una grande libertà. Anche dal punto di vista antropologico, in Italia la regola appare qualcosa di estremamente confuso, annebbiato e farraginoso. Gli italiani non amano le regole, preferiscono le proibizioni in modo da poterle aggirare, trasgredire ed evitare. La regola viceversa si presenta come una procedura organizzativa che consente di garantire una convivenza efficace e libera da impostazioni autoritarie.

In ambito educativo la confusione regna totale. Ricordo una serata, tanti anni fa, dove ebbi occasione di chiedere al pubblico se per loro la “sgridata” potesse essere definita una regola. Con mia enorme sorpresa il 50% dell’uditorio alzò la mano affermando esattamente che la sgridata corrisponde a una regola. Con i bambini il termine viene spesso confuso con i concetti di obbedienza, rispetto, ascolto assoluto. Ossia viene utilizzato in contrapposizione alle nefandezze presunte o reali dei bambini stessi. Niente di più equivoco. Come dice la stessa etimologia del termine, regola è una misura organizzativa che consente di calibrare la convivenza. Per i bambini è uno spazio di libertà.  Attraverso indicazioni chiare riconoscono quando è il momento di giocare, di mangiare, di lavarsi i denti, di dormire. La regola rappresenta il contrario del dispotismo e permette ai bambini e alle bambine di utilizzare al meglio la loro predisposizione alle consuetudini, alle abitudini, alle ripetizioni e alle routine.

Bambini e bambine hanno un innato senso organizzativo basato sul bisogno di sicurezza che proviene dal ritrovare sempre nello stesso spazio/tempo le abitudini necessarie. Occorre che le regole vengano anzitutto condivise dagli educatori, siano essi genitori o insegnanti, che risultino chiare, che siano corrispondenti all’età dei bambini, trovo ad esempio che la regola del cosiddetto time-out non abbia alcuna possibilità di successo per bambini da 1 a 6 anni in quanto pretende da loro un pensiero riflessivo che assolutamente non hanno. La cultura delle regole educative è giusto ciò che manca prioritariamente alle famiglie italiane, più orientate alle urla, alle sgridate e anche alle punizioni.

L’abitudine prevalente è quella emotiva, basata sulle reazioni di pancia che sembrano sul momento funzionare ma che alla lunga allarmano i bambini e li rendono sempre più fragili. Da ultimo, genitori e insegnanti si sono concentrati, più che sulle abitudini organizzative, sulle parole, sul parlare ai bambini, anche piccoli, con la pretesa che capiscano ragionamenti spesso complessi e lontani dalle loro capacità evolutive. “Quante volte te lo devo dire che non devi giocare con questi oggetti perché potresti mettere in bocca qualcosa di pericoloso che ostruisce le vie respiratorie e poi dobbiamo andare al pronto soccorso?”… Parole, queste, che per un bambino di 2, 3 e 4 anni hanno il solo effetto di creare un senso di ansia e di paura che non consente alcun apprendimento reale. La moda di parlare ai bambini come a veri e propri adulti inibisce lo sviluppo delle loro vere competenze infantili finendo peraltro con il produrre un senso di frustrazione negli adulti che –giustamente- non si sentono ascoltati.

I bambini amano le abitudini e le regole chiare, non profluvi di parole che non riescono a metabolizzare! Il loro è un mondo concreto e magico, lontano anni luce da astrazioni e densi ragionamenti verbali. Costruire regole chiare e sostenibili sia a scuola sia in famiglia è il primo passo per garantire ai più piccoli una crescita sana e felice.

 

 

 Articolo tratto da Bambini edizioni Junior mese di Febbraio 2018

“REGOLE” di Daniele Novara, pedagogista e direttore del Centro CPP (Centro Psicopedagogico per l’educazione e la gestione dei conflitti – www.cppp.it)